lockdown e bambini

I bambini al tempo
del lockdown

Per il nostro “Speciale Lockdown”, incontriamo la dottoressa Elisa Spini, psicologa presso il Centro Medico Benvita, con la quale affrontiamo le problematiche legate alla socialità stravolta di bambini, anziani e coppie, dal forzato cambio di abitudini.

Buongiorno dottoressa Spini, partiamo dai bambini e da come possano vivere il lockdown. Quale atteggiamento dovrebbero tenere gli adulti nei loro confronti? In che modo fargli vivere al meglio questo periodo di clausura forzata?

I bambini hanno molto patito il primo lockdown con le restrizioni e i cambiamenti alla quotidianità che ha richiesto, ma è importante ricordarsi che hanno tanto risorse e capacità di adattarsi alle situazioni più faticose se ben supportati dagli adulti. Penso che le limitazioni alla nostra vita siano dure per tutti, bambini, adolescenti, adulti e anziani.
Potremmo dire che ciascuno, adulto o bambino che sia, ha il suo pezzettino di fatica con cui doversi confrontare, perché viviamo un momento storico caratterizzato da incertezza e perdita dei punti di riferimento che conoscevamo prima e bisogna proprio confrontarsi con la novità. Questo passo ognuno lo compie in maniera diversa.
I bambini hanno sicuramente bisogno di un sostegno da parte dell’adulto di riferimento, genitore o insegnante che sia. L’adulto deve tenere aperto il canale della comunicazione con i bambini perché si accorgono di ciò che accade, ne sono consapevoli e sono immersi dentro ad una situazione che vivono in prima persona. Per questo motivo è importantissimo confrontarsi con loro e parlare di ciò che sta accadendo, tenendoli aggiornati e senza creare allarmismi, ma anche senza edulcorare troppo la realtà perché i bambini sicuramente se ne accorgerebbero.

Come affrontare, in periodo di lockdown, le tipiche domande dei bambini?

Le domande dei bambini spesso riescono anche ad intimorire l’adulto, spiazzandolo. Gli adulti possono rispondere con parole semplici, spiegando che esiste l’incertezza e che alcune cose non le capiamo, che non si possono conoscere. È importante anche rassicurarli sul fatto che medici, infermieri e scienziati stanno lavorando tanto per proteggerci.

Rispetto al primo lockdown che cosa è cambiato ora per i bambini?

Essendo rimaste aperte le scuole e avendo notizie di bambini che conoscono che sono risultati positivi e messi in quarantena, toccano di più con mano che cosa sta accadendo. Trovandosi nuovamente in classe, dopo 15 giorni, i compagni di classe positivi, capiscono che non stiamo vivendo una tragedia senza via d’uscita, ma che le cose possono avere, anzi il più delle volte hanno, un esito positivo.

Quindi c’è anche una maggior consapevolezza?

Senz’altro, perché i bambini ora, vivendo in comunità e non essendo a casa da soli, si confrontano, e confrontandosi alleggeriscono le loro paure. Si sono resi conto che ci si può ammalare, però, come mi è stato detto di recente da un bambino, si può anche guarire! Essere a scuola e non essere soli li fa sentire molto sostenuti nel non dover affrontare in solitaria questa avventura.

Questa situazione non sviluppa anche una maggior sensibilità nell’attenzione agli altri?

Beh, sì. Diventano anche più sensibili agli altri, interessandosi maggiormente alle persone che conoscono. C’è anche una maggiore attenzione alla salute, che prima era scontata e che adesso non lo è più. Solo il tempo ci dirà se questa sensibilità sarà portata anche quando il discorso Covid sarà terminato.

Parlando dei più anziani, invece? Tendono a chiudersi, sia perché sono spaventati dalla realtà che li circonda, sia perché sono condizionati dal bombardamento a cui sono sottoposti passando tanto tempo davanti alla televisione. In che modo possiamo aiutarli?

Stiamo vivendo tutti una grande fatica: non potersi avvicinare all’altro, parente o conoscente che sia, perché la vicinanza potrebbe risultare pericolosa, potrebbe far male all’altro. Siamo costretti a snaturare la natura umana che prevede la comunione, la convivialità, la socialità.
Bisogna però star vicini ai più anziani, senza lasciarli soli, sfruttando anche le opportunità tecnologiche di cui siamo provvisti nel 2020. Si possono rileggere insieme le informazioni che ricevono dai telegiornali e si può far loro capire che restare tanto tempo davanti alla tv crea un circolo vizioso che va ad amplificare la preoccupazione che possono già nutrire per conto loro.

Guardando invece in maniera più distaccata la situazione, rispetto al primo lockdown sta riscontrando nuove problematiche? È sorto qualcosa di nuovo che si è trovata a affrontare?

A marzo, la novità dell’emergenza ci ha portato a buttar fuori tanta adrenalina e tanto coraggio per affrontare la situazione. Adesso siamo di fronte alla disillusione, al fatto che il Coronavirus non se ne sia andato, e questo a contattare sensazioni di rabbia e di tristezza. Proprio la rabbia credo sia una novità, perché mentre prima c’era un’emergenza di fronte a qualcosa di sconosciuto che ci portava a rimboccarci le maniche e ad affrontarla con uno spirito diverso, adesso mi sembra che si stia portando dentro le mura domestiche anche la rabbia dettata da quello che si ascolta, visto che le informazioni sono molto discordanti, a tal punto che portano alcune persone a dubitare che ciò che sta accadendo sia vero o quantomeno che la sua portata sia effettivamente così grave.

A che cosa può portare questa rabbia nel lungo periodo?

Credo si debba attraversare la rabbia come passaggio obbligato per poi arrivare all’accettazione, ma è un percorso che risulterà lungo. È un azzardo anche provare ad immaginare le conseguenze che ci trascineremo una volta usciti dall’emergenza, sia a livello sociale, sia a livello di testa delle persone. Siamo ancora dentro, troppo dentro per provare a pensare a che cosa sarà dopo. C’è stato tanto dolore, tante perdite, c’è stata la fatica di non poter star vicini alle persone che sono mancate, c’è stata l’impossibilità di svolgere i funerali. Può essere che tutti questi dolori possano portare a disagi psicologici che potranno manifestarsi, per esempio, con disturbi d’ansia.

Il lockdown può portare al pericolo di cedere a vizi che già ci si porta dietro, abbandonandosi ad essi?

Può essere un pericolo per chi già si trascina questa sofferenza. Non è un rischio per tutti, non è una minaccia generalizzata, ma ci deve essere a monte già un comportamento disfunzionale con, ad esempio, alimentazione, fumo, alcol.

E se parlassimo di rapporto di coppia? Che cosa succede ai partner che si trovano costretti a rinunciare ai propri spazi?

Sarebbe un azzardo dare una risposta. Sicuramente in una condizione di lockdown e di convivenza forzata, o in quarantena con la preoccupazione di essere malati, o di avere i sintomi e chiedersi che cosa siano, il rapporto di coppia può essere sottoposto ad uno stress. E se le persone sentono ansia, fatica, rabbia, noia, tristezza, è del tutto normale in una situazione anomala come quella di un lockdown. Ed è anche normale che si trovino a fare fatica a sostenere da soli particolari situazioni e che abbiano bisogno di aiuto, e l’aiuto psicologico può essere molto importante per affrontare questa fase.

Ringraziamo la dottoressa Spini e ricordiamo che, seguendo questo link, è possibile prenotare una visita ambulatoriale con lei presso il Centro Medico Benvita.

Redazione Benvita
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